Essere madre al tempo del Covid-19

post di Ketty
maternità al tempo del Coronavirus
Questa è la sintesi del mio sentirmi madre in questo tempo strano. Qual è la vostra?
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Essere madre lavoratrice al tempo del Coronavirus è sentirsi sbattuta, come le uova nello zabaione, fra ore di smartworking e didattica a distanza,
ritrovarsi a incrociare gli arti - modello polpo-  fra il proprio PC portatile e il tablet dei figli,
rispondere a telefonate di lavoro formali pregando ogni divinità greca, indù e sciamana che in quel momento il figliolo non urli: "Mamma, mi scappa la cacca!",
ingarbugliarsi in modo labirintico fra un decreto legge e l'analisi grammaticale della frase "in piazza c'erano i piccioni", 

rispondere alla telefonata della collega con un "dimmi cucciolina" e al figlio "Salve, avvocato", 
usare in certi giorni il metodo "Bambini, oggi arrangiatevi da soli", concentrarsi per un'ora alla propria postazione di lavoro con le cuffie alle orecchie per poi alzare gli occhi dal PC e ritrovarsi in una casa che non è più la tua ma il set del film catastrofistico "2012".

Essere una mamma al tempo del Coronavirus è adattarsi agli orari casalinghi dei figlioli,
esaurire drammaticamente tutte le favole per far addormentare i bambini, vispi come grilli, ad orari notturni che tu, madre, non frequentavi dai tempi della discoteca,
preparare pasti e spuntini a cadenza regolare di due ore, manco fossero tornati bebè famelici,
fare acrobazie di fantasia e temperanza per rassicurarli nei momenti di nostalgia,
riaprire il lettone a bimbi sfrattati da anni e ormai sovradimensionati, svegliarsi e scoprire microdolori articolari in angoli del corpo che non sapevi di avere,
cercare ore e ore online mascherine fashion, buffe, cool, mascherine accettabili per i figli e scoprire che utilizzano volentieri pure le chirurgiche perché "Mamma, giochiamo al dottore".

Essere madre al tempo del coronavirus è maturare la repulsione verso le tecnologie,
ingaggiare battaglie nucleari per disarmare i bambini dei tablet e poterli lanciare in giardino al sole (i bambini, non i tablet),
sperimentare tutte le tonalità di vocalizzi per far spegnere la TV e assoldare i bambini in montessoriano faccende quotidiane,
cucinare insieme in stile Mulino Bianco per produrre pasticci in gusto slime Skifidol, purché i figli abbiano le mani occupate in attività diverse dalla distruzione di suppellettili in soggiorno.

Essere una madre al tempo del Coronavirus è gestire l'umore che fa le montagne russe, incoraggiare, sollecitare, confortare, domandarsi "Quando finirà questa giornata?", resistere, desistere, resistere ancora,
guardarsi allo specchio e scoprire i muscoli del proprio volto dilatati di stress accumulato, augurarsi che quel volto si sgonfi come un palloncino non appena tutto sarà finito,
sostituire le benefiche serate con le amiche con videochiamate interrotte da "mamma guarda, mamma vieni", accumulare nel cuore quelle confidenze che alle videochiamate non si possono affidare, sperando che non muoiano dentro
E infine essere madri al tempo del Coronavirus è succhiare fino al midollo l’intimità familiare ora imposta ma un tempo agognata, il tempo in cui tutto era normale e il vortice degli impegni settimanali travolgeva la lentezza degli abbracci e la voglia di coccole a oltranza,
raccontarsi che non è poi così  male stare distanti da alcune relazioni tossiche,
struggersi per la distanza regionale dai propri famigliari,
ringraziare ogni sera Dio perché mi ha donato un altro giorno insieme ai miei figli e a mio marito.

Ketty
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