Siete mamme lavoratrici e soffrite di sensi di colpa?
Lascia un commento e il link del tuo blog: ricambieremo volentieri la visita!
Questo post forse è anche per voi, un breve racconto di una evoluzione interiore che
si è consumata nel mio cuore nell’arco di tre mesi: il giro dei sensi di colpa
in 90 giorni.
A giugno finiva la scuola. I miei figli si beavano della loro libertà. Trascorrevano ore e ore in giardino con i nonni, non so quanto tempo davanti alla TV (non ho mai approfondito per non infuriarmi), mangiavano non so quanti gelati (medesima consapevole inconsapevolezza). In due parole: erano felici.
E io? Io ero profondamente infelice. Mai come quest’anno mi è pesato lavorare - pur amando il mio lavoro - mentre i miei figli erano in vacanza. Mi struggevo. Pensavo continuamente a loro. Avrei voluto essere a casa dei nonni con loro. Non per mangiare tutto il giorno gelati - che pensate?! - magari un gelatino… ma per vivere il mio tempo con loro.
Come se non bastasse la mia sferzante nostalgia, mia figlia mi telefonava un paio di volte al giorno con voce severa: “Mamma, dove sei? Quando torni?”. Eccomi, colpita e affondata. Tramortita dal senso di colpa. Razionalmente sapevo che nessuna colpa poteva essermi imputata perché non andavo certamente a rilassarmi al lavoro. Ero tentata di urlarlo: “Ehi signorina, io vado a lavorare per garantirti pane e divertimento!”. Però non era la risposta che si meritava. La mia seienne sa benissimo perché lavoro. Il suo intenso rimprovero era commisurato alla nostalgia che lei stessa provava per me, il bisogno naturale di stare con la mamma.
Occorreva una soluzione pratica così a fine giugno cominciai a declinare diversamente le mie giornate: la mattina partivo prima da casa per essere prima al lavoro e il pomeriggio sfruttavo dei permessi per tornare prima a casa. Così i lunghi pomeriggi e le serate di giugno e luglio passavano fra giochi, libri, lavoretti e tante coccole, ché per noi baci e abbracci sono nutrimento quotidiano, zuccherosità fino ai limiti del diabete.
Peccato che mio figlio ogni tanto mi dicesse: “Mamma, perché stamattina sei andata via senza salutarmi?”. Ecco, figliolo, forse perché quando parto all’alba per andare al lavoro tu ronfi come un orsetto? Ma anche là è inutile dilungarsi in risposte. Chiudevo con un: “Ti ho dato un bacetto mentre dormivi”.
Ketty
A giugno finiva la scuola. I miei figli si beavano della loro libertà. Trascorrevano ore e ore in giardino con i nonni, non so quanto tempo davanti alla TV (non ho mai approfondito per non infuriarmi), mangiavano non so quanti gelati (medesima consapevole inconsapevolezza). In due parole: erano felici.
E io? Io ero profondamente infelice. Mai come quest’anno mi è pesato lavorare - pur amando il mio lavoro - mentre i miei figli erano in vacanza. Mi struggevo. Pensavo continuamente a loro. Avrei voluto essere a casa dei nonni con loro. Non per mangiare tutto il giorno gelati - che pensate?! - magari un gelatino… ma per vivere il mio tempo con loro.
Come se non bastasse la mia sferzante nostalgia, mia figlia mi telefonava un paio di volte al giorno con voce severa: “Mamma, dove sei? Quando torni?”. Eccomi, colpita e affondata. Tramortita dal senso di colpa. Razionalmente sapevo che nessuna colpa poteva essermi imputata perché non andavo certamente a rilassarmi al lavoro. Ero tentata di urlarlo: “Ehi signorina, io vado a lavorare per garantirti pane e divertimento!”. Però non era la risposta che si meritava. La mia seienne sa benissimo perché lavoro. Il suo intenso rimprovero era commisurato alla nostalgia che lei stessa provava per me, il bisogno naturale di stare con la mamma.
Senso di colpa fedifrago.
Occorreva una soluzione pratica così a fine giugno cominciai a declinare diversamente le mie giornate: la mattina partivo prima da casa per essere prima al lavoro e il pomeriggio sfruttavo dei permessi per tornare prima a casa. Così i lunghi pomeriggi e le serate di giugno e luglio passavano fra giochi, libri, lavoretti e tante coccole, ché per noi baci e abbracci sono nutrimento quotidiano, zuccherosità fino ai limiti del diabete.
Peccato che mio figlio ogni tanto mi dicesse: “Mamma, perché stamattina sei andata via senza salutarmi?”. Ecco, figliolo, forse perché quando parto all’alba per andare al lavoro tu ronfi come un orsetto? Ma anche là è inutile dilungarsi in risposte. Chiudevo con un: “Ti ho dato un bacetto mentre dormivi”.
In qualunque modo facessi, per i miei bimbi sbagliavo. Dovevo
solo stare con loro, la mattina come la sera. Infame senso di colpa.
Arrivavano finalmente le ferie di agosto. Viaggio in montagna, settimana al mare e settimana a casa: io e loro sempre insieme, respiro all’unisono. Nessuna recriminazione, nessun “Mamma, torna!” e "Mamma, dove sei?" ma tanti “Mamma, guarda il mio disegno” “Mamma, ho fame” “Mamma mi prendi in braccio” “Mamma, Leo mi ha fatto male” e ancora “mamma, mammaa, mammaaa, mammaaaaaaa!!!”
Arrivavano finalmente le ferie di agosto. Viaggio in montagna, settimana al mare e settimana a casa: io e loro sempre insieme, respiro all’unisono. Nessuna recriminazione, nessun “Mamma, torna!” e "Mamma, dove sei?" ma tanti “Mamma, guarda il mio disegno” “Mamma, ho fame” “Mamma mi prendi in braccio” “Mamma, Leo mi ha fatto male” e ancora “mamma, mammaa, mammaaa, mammaaaaaaa!!!”
Addio senso di colpa e benvenuta… voglia di lavorare!
Eh si, a fine ferie non vedevo l’ora di tornare alle mie sudate carte e a giornate regolari di lavoro!
Mi ero rifornita abbastanza di amore filiale e di “mamma, mammaa, mammaaa, mammaaaaaaa!!!”.
Mi riprendevo tutta me stessa, madre e donna lavoratrice con le proprie ambizioni personali.
Eh si, a fine ferie non vedevo l’ora di tornare alle mie sudate carte e a giornate regolari di lavoro!
Mi ero rifornita abbastanza di amore filiale e di “mamma, mammaa, mammaaa, mammaaaaaaa!!!”.
Mi riprendevo tutta me stessa, madre e donna lavoratrice con le proprie ambizioni personali.
****
Epilogo
Ora vorrete sapere come hanno reagito i miei figli al mio
ritorno al lavoro. I bambini ci stupiscono con effetti
speciali: non mi telefonano più, non mi chiedono di tornare prima, non mi
rinfacciano il tempo di lontananza. Hanno fatto anche loro il pieno di mamma,
si sentono appagati. O probabilmente non mi sopportavano più, chi lo sa, e in
cuor loro si domandavano “Ma quando torna questa al lavoro?!”.
Resto con questo piccolo dubbio pungente e nel frattempo penso a come sono importanti le vacanze: a ritrovare un tempo equilibrato ed equilibrista da dividere fra la mia famiglia e me stessa, a risistemare sui piatti della bilancia, col giusto peso, i bisogni della mia famiglia e i miei.
Ho ritrovato la felicità e vedo i bambini pronti per affrontare la scuola a tempo pieno, la prossima stimolante sfida.
Non so quanto durerà questo senso di pienezza dello stare insieme che abbiamo riacquistato in vacanza ma so che quando ritornerà quel bisogno/desiderio di contatto stretto a oltranza, sapremo trovare momenti e modi per esaudirlo.
E voi come avete vissuto questa lunga estate?
Resto con questo piccolo dubbio pungente e nel frattempo penso a come sono importanti le vacanze: a ritrovare un tempo equilibrato ed equilibrista da dividere fra la mia famiglia e me stessa, a risistemare sui piatti della bilancia, col giusto peso, i bisogni della mia famiglia e i miei.
Ho ritrovato la felicità e vedo i bambini pronti per affrontare la scuola a tempo pieno, la prossima stimolante sfida.
Non so quanto durerà questo senso di pienezza dello stare insieme che abbiamo riacquistato in vacanza ma so che quando ritornerà quel bisogno/desiderio di contatto stretto a oltranza, sapremo trovare momenti e modi per esaudirlo.
E voi come avete vissuto questa lunga estate?
Ketty