A viso coperto


È stata un’estate ricca di letture stimolanti per tutta la mia famiglia. Mentre preparo le recensioni di meravigliosi libri per bambini che troverete prossimamente nella sezione lib(r)imbi, devo proprio raccontarvi di un libro che ho comprato per me e che mi ha piacevolmente inchiodata alla sedia a sdraio in vacanza.
Ne parlo in una forma inconsueta, una lettera-recensione scritta di getto al bravissimo autore, Riccardo Gazzaniga. Se già non lo conoscete, cliccate sulla sua pagina facebook.
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Caro Riccardo,
mi scuserai del tono confidenziale che uso nonostante tu non sappia affatto chi sono. D'altronde essere un personaggio pubblico come lo sei tu e scrivere così limpidamente bene come fai tu, certamente ti espone a questo rischio: che chi ti legge ha l'impressione di conoscerti in modo familiare.
Ti confesso che la prima volta che ti ho visto non sapevo neppure che tu fossi uno scrittore. Una mia amica ha condiviso un tuo post di Facebook (parlavi di Saviano) ed è stato per me come essere centrata da una saetta perché nelle tue parole ho trovato affinità di pensiero.
Poi ho scoperto che sei un poliziotto e che hai scritto proprio il libro che in cuor mio cercavo:"A VISO COPERTO", Giulio Einaudi editoreun romanzo che narra di tifo violento e di stadi.

Il calcio è una parte importante nella vita di molte famiglie italiane, la mia fra queste. Condividere l'esperienza dello stadio, per me, mio marito e - da poco - per i miei bimbi, equivale a impilare altri mattoni di cemento nell'edificio dei nostri ricordi emozionanti.
Ma è proprio osservando un po' la gente sugli spalti che ho cominciato a capire che la vita dello stadio può non coincidere solo con i 90 minuti di partita. 
La vita e la morte di certe tifoserie si consuma in altre faccende diverse dai goal e dalle polemiche per il rigore regalato dall'arbitro. 
Nelle curve ci sono recriminazioni sociali, lotte di classe, scontri di "mentalità" di gente che a volte non guarda quasi le partite.
È esemplare che la tua narrazione, tutta incentrata sulle tifoserie ultrà, non faccia cenno a partite, azioni, goal e campioni.

Racconti di tifosi particolari, gli ultrà, che spesso sembrano incomprensibili a chi il calcio lo segue in tribuna o sul divano di casa. Si tende a ritenere che si tratti per lo più di sbandati privi di ideali che tengono in così scarsa considerazione la propria vita da metterla a repentaglio per un tifo morboso per la propria squadra ed il gusto della violenza. 
Nel tuo romanzo qualcuno di questo genere se ne intravede ma fondamentalmente tu dipingi gli ultrà come persone che hanno bisogno di sentirsi comunità con altri, che si sentono soffocati dalle complesse regole della società, che hanno bisogno di uscire dall'omologazione, che hanno la "mentalità" e sono tutt'altro che privi di idee e di coraggio.
Affidi la battuta chiave, sul punto, al dialogo fra un ultrà e la sua fidanzata.

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Lei: “Perché lo fai, dimmelo, Lore. Perché?”
Lui: “Perché non possiamo comportarci sempre da marionette obbedienti. Non possono chiuderci anche le curve, militarizzarle. Sono uno spazio sociale pure quelle. Un luogo di aggregazione. Lo sai che i ragazzi allo stadio hanno fatto anche cose belle. Oltre alle coreografie, intendo. Raccolte di fondo, attività solidali. Tutti parlano a vanvera, senza sapere niente. Perché non dicono che quando c’era da spalare, dopo l’alluvione, per strada sono andati un sacco di ragazzi della curva, eh? Oppure con gli operai, a manifestare” (Lorenzo, ultrà)
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Non sono privi di ideali, no. Purtroppo scelgono come modo di affermarli lo scontro duro e a viso coperto
Non deve essere stato facile per te, che sei dall'altra parte della barricata, entrare nel cuore degli ultrà, cercarne le ragioni. Se, da una parte, riconosci che certe durezze nascono dalla rabbia furiosa degli emarginati o dalla noia di vivere di certi giovani, dall'altra sai che ci sono ultrà che sanno anche mettere in dubbio il senso delle proprie azioni.

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Perché così stanno le cose. Sono questioni che sembrano importanti solo a noi. Fuori dallo stadio, tra la gente normale, non hanno senso. Forse è perché non hai figli, Lollo. Oppure perché non ti è mai capitato niente di brutto da farti detestare la vita. Che una volta passata la rabbia, dopo quei secondi in cui ti senti meglio nella mischia, capisci che quel dolore , quel buco dentro non si riempie mai, per quanta merda inghiotti nella speranza di tapparlo.” (Ale, ultrà)
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Mi sono piaciuti moltissimo gli excursus storico-sociologici sul fenomeno ultrà. Molto efficace l’idea di inserirli nella narrazione come capitoli del libro che un poliziotto intendeva scrivere.
Poi hai raccontato con franchezza anche di quel che accade nel cuore dei tuoi colleghi, i celerini
Coraggioso è il modo in cui ne riporti perplessità e disincanto. Molti si sbattono in turni e stadi massacranti per accumulare banalmente più ore di straordinario, altri sono pieni di boria,  tanti riflettono più a fondo, attanagliati dal dubbio di essere solo pedine nelle mani di poteri forti, poteri privi coraggio e di risposte verso chi protesta in piazza. 

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 In piazza tu rappresentavi lo Stato a cui loro chiedevano risposte. Ma se lo Stato quelle risposte non le aveva, parlavano solo i manganelli." (Fabio, celerino)
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Con chi è inflessibile lo Stato? Non di certo con i criminali che truffano e appaltano beni alle mafie ma contro criminali da strapazzo e poveracci che in fondo non hanno una vita diversa da quella di chi lo Stato cerca di difenderlo. 
Questa riflessione poteva restare un luogo comune. Invece, nella narrazione, dai la dimensione a tutto tondo del concetto: da una parte e dall'altra della barricata vi sono persone con simili infelicità, famiglie che li amano, bisogni di affermazione, convinzioni e insicurezze. Le distanze fra schieramenti opposti si abbattono quando si guarda al cuore delle persone.
Anche nel caso dei celerini, la battuta chiave viene fuori dal dialogo fra un uomo e la sua donna. Forse perché una donna riesce sempre a cavare dal cuore dell’amato la verità (che lui l’ammetta o no)? Mi piace pensare questo.
Ad ogni modo, Nicola il celerino, stimolato dalla provocazione della moglie che lo accusa di provare piacere negli scontri, così pensa:

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 Quante volte aveva provato a spiegarle che non era vero, che non gli piaceva. Avrebbe preferito restarsene a casa a leggere o scrivere. Magari fare l’amore. Però. Però quando era lì, in piazza o allo stadio, davanti a gente con il viso coperto da sciarpe o passamontagna, non volti, solo mani che brandivano cinghie, lanciavano oggetti, o impugnavano bastoni, quando era lì cercava di tener fermi i colleghi e farli resistere alle spinte, alle bottigliate, alle bombe. […] Quando era lì qualcosa dentro si svegliava. Era il figlio illegittimo di istinti primordiali, era un fantasma richiamato alla vita dalla paura, dalla rabbia. Dall’istinto di sopravvivenza. Era una voce che ti faceva reagire come non avresti mai detto. […] Un bravo poliziotto imparava a dominarla, magari a sfruttarla per non cedere alla paura. Qualcun altro ascoltava quella sirena, fracassandosi contro gli scogli”. (Nicola, celerino)
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Negli uni (gli ultrà) e negli altri (i celerini) hai descritto il valore dell'amicizia, quella che ti fa restare sveglio a vegliare l'amico in ospedale o che ti fa rischiare il lavoro per tutelare l'amico.
Hai tratteggiato la personalità dei tuoi protagonisti  con dovizia di particolari che li ha resi vivi e cari. Mi sono ritrovata a trattenere il respiro quando ho temuto che negli scontri qualcuno di loro potesse soccombere.
Il tuo romanzo si legge con l’ansia del “non vedo l’ora di sfogliare il prossimo capitolo” anche quando vorresti cedere alla stanchezza della giornata e spegnere l’abat-jour. L’ho terminato l’ultima notte delle mie vacanze al mare e non avevo neppure finito la valigia per la ripartenza!
Un’ottima alternanza di ritmo, azione, introspezione e suspence e un finale sorprendente che naturalmente non rivelo ai lettori del blog.
Ora sono veramente curiosa di leggere il tuo secondo romanzoNon devi dirlo a nessuno". 
Il caso vuole che io abbia cominciato a scrivere questa recensione proprio la notte prima di ricevere la mail di Amazon che ne annunciava l’uscita. È una coincidenza che interpreto come un buon segno.
Intanto l’ho prenotato e un giorno spero di poter partecipare alla sua presentazione, magari ottenendo un tuo autografo.
Grazie per il tuo bel romanzo. Perché mi hai fatto capire molte dinamiche, mi hai dato anche chiavi di lettura che utilizzerò come madre, quando forse i miei figli vorranno andare allo stadio da soli e unirsi ai gruppi. 
Grazie, semplicemente, perché trascorrere le vacanze in compagnia di un libro veramente emozionante come il tuo, è una soddisfazione.


Ketty
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