Figli toscani, cresciuti in Toscana, con madre pugliese: a volte mi chiedo se ne verrà fuori una strana commistione
linguistica fra “c” aspirate e parole greco-spagnole-francesi-arabe (quante
sonorità nel mio dialetto d’origine!) oppure due figli che crederanno che il
pane all’olio si chiama solo “fettunta” e non sapranno mai cos’è la “ciallédd” pugliese.
I miei viaggi in Puglia con i bambini, lo ammetto, nascono
anche da uno scatto d’orgoglio di madre terrona.
Quando posso, porto i miei figli nella mia regione natale. È il
richiamo della foresta, l’atavica attrazione delle radici, me lo dice il fondo
delle viscere.
I miei figli devono comprendere il dialetto che ha imparato la
loro mamma alla loro età, perché è quella la lingua che ha veicolato tante emozioni, il filo rosso che collega le generazioni dei bisnonni e dei
bisnipoti.
Senza dialetto non c’è storia e tante volte neppure divertimento. Vuoi mettere l’ilarità di una barzelletta in dialetto o l’efficacia di commentare la vacuità di qualcuno dicendo “iè, proprie nu’ rizz vacande!” (è proprio un riccio vuoto!)
Senza dialetto non c’è storia e tante volte neppure divertimento. Vuoi mettere l’ilarità di una barzelletta in dialetto o l’efficacia di commentare la vacuità di qualcuno dicendo “iè, proprie nu’ rizz vacande!” (è proprio un riccio vuoto!)
I miei figli devono conoscere i sapori della Puglia perché
dalle tradizioni della tavola passano ricordi, poesia e felicità della mamma. Mangiare le
orecchiette con le cime di rape non è solo l’esaltazione delle papille
gustative ma l’interiorizzazione della storia della nonna Concetta che per ore
faceva le orecchiette a mano seduta sullo sgabello davanti alla spianatoia per
poi raccontarci la sua fatica con toni epici.
I miei figli devono saper riconoscere la voce del mare
incazzato d’inverno e sapere che la loro mamma, quando era inquieta, andava in
riva al mare a confondere le sue lacrime con gli schizzi violenti delle onde
sulla roccia. Il mare è un grande ascoltatore, se solo potessero goderne la compagnia
in tutte le stagioni…
I miei figli, nella gamma dei piaceri provati, devono avere il profumo del pesce appena pescato mescolato con il verso dei gabbiani vivaci al porto, la fragranza della focaccia barese gustata sulla panchina "in bacc a mar" (in riva al mare), l'acquisto della guantiera di dolci alla domenica, soprattutto i bocconotti bitontini.
I miei figli devono avere impressi nella mente la maestosità
della mia cattedrale romanica, il serpeggiare chiaroscuro delle strade del
centro storico, l’austerità del mio liceo perché anche in quelle strade è stata
scritta la mia storia di cui loro sono la prosecuzione. Là ci sono i solchi
invisibili delle mie scarpe di bimba, adolescente e donna, là ho sviluppato ammirazione
e timore reverenziale per l’arte ed ho imparato a difendermi dalle piccole
delinquenze locali.
I miei figli devono conoscere le chiese in cui ho rivolto al
Signore le mie infuocate preghiere giovanili e le variopinte tradizioni
religiose locali e magari un giorno lasciarsi trasportare dallo stesso senso di mistico mistero.
I miei figli devono conoscere le persone che hanno fatto parte della mia quotidianità perché capiscano che decidere un giorno di stabilire lontano la propria vita non significa lacerare relazioni.
Certe persone
sono stampate dentro.
Te ne accorgi perché, in quei pochi giorni nella città natale, c’è l’ansia di incontrarle, la gioia inesprimibile di sintetizzare con loro mesi di vita sorseggiando un espressino al bar e spesso, purtroppo, la delusione di non essere riuscita a incontrare tutti. Poi, per fortuna, c’è qualche social che offre la consolazione di qualche scambio di battute, magari anche su argomenti importanti.
Te ne accorgi perché, in quei pochi giorni nella città natale, c’è l’ansia di incontrarle, la gioia inesprimibile di sintetizzare con loro mesi di vita sorseggiando un espressino al bar e spesso, purtroppo, la delusione di non essere riuscita a incontrare tutti. Poi, per fortuna, c’è qualche social che offre la consolazione di qualche scambio di battute, magari anche su argomenti importanti.
Si, ho scritto “devono” conoscere, “devono” sapere. Questa
imposizione è una delle poche eccezioni al mio essere “mamma democratica”.
Coltivare il fiore della memoria è un dovere per noi stessi, donare mazzolini di fiori di memoria ai figli è una gioia fondamentale.
Ketty
3 commenti
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ReplyVy
Mi ritrovo in tutto, parola per parola... O quasi, visto che poco più a sud diciamo gialletta e non abbiamo la cattedrale ma un Castello di Federico II ;)
ReplyMummyinprogress, a proposito, urge coordinarsi e incontrarsi per uno scambio culturale fra nord e sud della Puglia e quattro chiacchiere fra bloggers. :-)
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