"C'erano una volta il mondo reale e la vita reale. Tutto avveniva sotto gli occhi delle persone che avevamo vicino, tutto avveniva sotto il cappello, vigile e sensorialmente vicino, delle persone che, in un modo o nell'altro, c'erano di fianco...
Poi c'era l'amore, quella cosa meravigliosa che doveva nascere per forza con qualcuno che, nel bene e nel male, condivideva almeno in parte la tua vita e i tuoi spazi: non potevi certo trovarti la fidanzata in Australia senza andare in Australia". (tratto dalla prefazione di Rudy Bandiera in "Fai di te stesso un brand" di Riccardo Scandellari).
Nel corso della mia vacanza in Sicilia, tra i bagni al mare e la protezione solare per un'abbronzatura senza scottature, tra il latte di mandorla e i pranzi costituiti sempre da primo e secondo (alla faccia della dieta seguita durante tutto l'anno), tra le zanzare delle 17.00 in veranda e la super luna sul mare di questa strana estate, ha avuto una parte importante il libro di Scandellari appena citato e che ho "studiato" in spiaggia, creando conversazioni/discussioni con chi mi stava accanto.
Più che discussioni, chiamiamole "confronti familiari" in cui non si finiva di sottolineare la fissazione di noi tutti verso i cellulari, i pc sempre accesi, i tablet su ogni tavolo e chiavette internet.
Una sera, dopo cena, ci siamo ritrovati tutti (grandi, medi e piccini) a consultare (cosa poi?) i nostri smartphone, davanti agli occhi perplessi e degrinatori di mamma e zia.
"E' questo il modo di socializzare? ma non vi vedete? Non si fanno più le conversazioni di una volta tra di NOI?"
E nel frattempo mia sorella mi inviava su Whatsapp le foto che in quel momento scattava, nell'altra stanza, con la sua nipotina (mia figlia).
E' scoppiato un "confronto" (visto? si riesce a parlare ancora tra di NOI!) che si riassume nel racconto/post (riportato sotto) che ho chiesto a mia madre di scrivere, per riportare il punto di vista di una generazione precedente alla mia, capire i motivi del suo disappunto nei confronti delle tecnologie, dell'amore nato in rete e di questo "nuovo" modo di socializzare. Da professoressa che vive giornalmente le vite degli adolescenti, mi sembrava giusto accogliere il suo contributo che mi trova da una parte d'accordo, dall'altra con mille dubbi.
E' un tema che mi affascina e sul quale mi piace riflettere con voi, dal momento che i nostri figli (ho scritto già su questo argomento) vivono giornalmente questa evoluzione e riescono a usare il touch già a pochi mesi di vita.
E l'amore? E' cambiato qualcosa rispetto al passato? E' più vero o è solo frutto di una solitudine che si sprigiona davanti agli schermi dei cellulari? Quanto è importante ancora il contatto giornaliero per es. tra i banchi di scuola o nei locali che frequentiamo? O stiamo sempre solo a testa bassa per verificare che qualcuno ci abbia scritto su Whatsapp?
Il passo che ho citato all'inizio l'ho imparato a memoria per quante volte l'ho letto! In poche righe riassume una verità assoluta e dilagante, mi fa quasi paura: è proprio vero che ormai non possiamo fare a meno di tutto questo? che non appena viviamo anche una piccola emozione dobbiamo raccontarla con uno status su FB o un post sul blog? che le aziende hanno bisogno di noi utenti e blogger per farsi pubblicità e aumentare la loro reputazione? Che "se non ci sei" in nessun social sei uno sfigato?
Perché "l'amore ai tempi del ragazzo della porta accanto?" Se vi va ancora di leggere e volete scoprire il perché, ecco qui il contributo di mia madre:
"Sono una “vecchia ragazza” degli anni ’70 che ora a 58 anni fatica a integrarsi con l’accelerazione impressa dalla tecnologia a tutti i mezzi di comunicazione.
Certo anche io ho tratto vantaggio da FB, dagli smartphone e da wathsapp, soprattutto per comunicare con i miei figli (3, e non è un gestore telefonico) ormai definitivamente lontani.
Questi mezzi mi consentono di osservarli e seguirli a distanza, a loro insaputa, senza essere una presenza invadente (che mania pubblicare tutto su fb, si sa tutto di tutti!).
A differenza delle ultimissime generazioni, per le quali internet è sempre esistito, noi “vecchie ragazze” facciamo gli inevitabili confronti con il nostro passato più recente e ci chiediamo come siamo sopravvissuti senza uno smartphone incollato all’orecchio e allo sguardo.
Io insegno in un Liceo a ragazzi dai 13 ai 18 anni, e sono quasi quotidiane le discussioni relative all’uso più appropriato delle nuove tecnologie, ma non c’è niente da fare: esse incombono, invadono, fagocitano ogni aspetto dell’esistenza. I miei alunni mi ascoltano e mi guardano come se fossi un’aliena proveniente da un altro pianeta dove esistono ancora “i ragazzi della porta accanto”.
Immaginate con quale atteggiamento possano ascoltare e comprendere, questi giovani, la spiritualità dell’amore cantato da Dante per Beatrice, o il tormento di Petrarca per Laura, o l’infinito desiderio d’amore di Leopardi. Ridono, ed è difficile ricondurre quelle emozioni a fatti concreti della loro esperienza quotidiana.
Eppure, che differenza c’è tra la “lontananza” di un poeta provenzale che sospirava per uno sguardo della donna desiderata e irraggiungibile, e l’amore vissuto davanti a uno schermo, grande o piccolo che sia, in cui non c’è alcun contatto fisico, e in cui ci si illude che le frasi spezzate infarcite di acronimi, corrispondano alla realtà dei sentimenti che desideriamo suscitare o trasmettere?
La globalizzazione ci ha posto di fronte a una realtà occupazionale in cui le distanze si sono annullate e dunque, se si è costretti a vivere agli antipodi per questo motivo, nel caso di mogli madri figli, ben venga la possibilità di comunicare in tempo reale.
E prima? Gli innamorati come facevano a mantenere vivo il loro sentimento, a restare fedeli, a non dimenticare il volto della persona amata?
Temo fortemente che l’ansia di “vedersi” di “restare in contatto” nasconda una estrema fragilità e insicurezza (sarà forse per questo che le unioni oggi durano così poco?), l’incapacità di temprare i propri sentimenti e di nutrire fiducia in se stessi.
Purtroppo è questo il prezzo che si paga alla tecnologia.
Anche i miei figli non mi capiscono e mi offrono i vantaggi della possibilità di ampliare le loro conoscenze e di scegliersi il compagno/a della loro esistenza tramite le varie chat.
Io continuo ad avere i miei dubbi, poiché, se anche essi mi rassicurano che ormai è difficile nascondere la propria identità e il proprio aspetto, so con certezza che la scrittura è un filtro potente dei propri sentimenti che ne escono sempre modificati, edulcorati o falsati, sicuramente privi di quella immediatezza istintiva dello sguardo e dei gesti.
L’amore “ai tempi del ragazzo della porta accanto” era circoscritto ai pochi metri quadrati di un pianerottolo e non c’era bisogno di Wathsapp per dire “ci sei?”, bastava battere sulla parete divisoria dei propri appartamenti e affacciarsi al balcone.
Ma che dire ora che l’amore si è ridotto ai centimetri di un banco scolastico?
Anche su questo fenomeno, per me dilagante, ci sarebbe tanto da dire. Perché gli adolescenti non guardano fuori dalla loro aula e si “fidanzano”(che parola obsoleta!) tra compagni di classe? Noi, femminucce di allora, guardavamo come esseri irraggiungibili “quelli del quinto” che a loro volta, magari, desideravano esperienze con ragazze più grandi.
In effetti il compagno di banco siede “accanto” a noi, ma nella realtà di oggi l’amore dovrà lottare ancora molto per far sì che ciascuno possa veramente dire di aver trovato chi vive “con” noi e non solo fisicamente".
Bene, si è forse capito che l'amore tra i miei è nato tra le mura dello stesso palazzo in cui abitavano??? :-)
Ringrazio mia madre per aver svolto questo tema "caldo" (e non solo perché al momento qui ci sono 40 gradi!!) e per aver lanciato ulteriori provocazioni a cui, spero, risponderete con i vostri contributi.
Vivy
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Poi c'era l'amore, quella cosa meravigliosa che doveva nascere per forza con qualcuno che, nel bene e nel male, condivideva almeno in parte la tua vita e i tuoi spazi: non potevi certo trovarti la fidanzata in Australia senza andare in Australia". (tratto dalla prefazione di Rudy Bandiera in "Fai di te stesso un brand" di Riccardo Scandellari).
Nel corso della mia vacanza in Sicilia, tra i bagni al mare e la protezione solare per un'abbronzatura senza scottature, tra il latte di mandorla e i pranzi costituiti sempre da primo e secondo (alla faccia della dieta seguita durante tutto l'anno), tra le zanzare delle 17.00 in veranda e la super luna sul mare di questa strana estate, ha avuto una parte importante il libro di Scandellari appena citato e che ho "studiato" in spiaggia, creando conversazioni/discussioni con chi mi stava accanto.
Più che discussioni, chiamiamole "confronti familiari" in cui non si finiva di sottolineare la fissazione di noi tutti verso i cellulari, i pc sempre accesi, i tablet su ogni tavolo e chiavette internet.
Una sera, dopo cena, ci siamo ritrovati tutti (grandi, medi e piccini) a consultare (cosa poi?) i nostri smartphone, davanti agli occhi perplessi e degrinatori di mamma e zia.
"E' questo il modo di socializzare? ma non vi vedete? Non si fanno più le conversazioni di una volta tra di NOI?"
E nel frattempo mia sorella mi inviava su Whatsapp le foto che in quel momento scattava, nell'altra stanza, con la sua nipotina (mia figlia).
E' scoppiato un "confronto" (visto? si riesce a parlare ancora tra di NOI!) che si riassume nel racconto/post (riportato sotto) che ho chiesto a mia madre di scrivere, per riportare il punto di vista di una generazione precedente alla mia, capire i motivi del suo disappunto nei confronti delle tecnologie, dell'amore nato in rete e di questo "nuovo" modo di socializzare. Da professoressa che vive giornalmente le vite degli adolescenti, mi sembrava giusto accogliere il suo contributo che mi trova da una parte d'accordo, dall'altra con mille dubbi.
E' un tema che mi affascina e sul quale mi piace riflettere con voi, dal momento che i nostri figli (ho scritto già su questo argomento) vivono giornalmente questa evoluzione e riescono a usare il touch già a pochi mesi di vita.
E l'amore? E' cambiato qualcosa rispetto al passato? E' più vero o è solo frutto di una solitudine che si sprigiona davanti agli schermi dei cellulari? Quanto è importante ancora il contatto giornaliero per es. tra i banchi di scuola o nei locali che frequentiamo? O stiamo sempre solo a testa bassa per verificare che qualcuno ci abbia scritto su Whatsapp?
Il passo che ho citato all'inizio l'ho imparato a memoria per quante volte l'ho letto! In poche righe riassume una verità assoluta e dilagante, mi fa quasi paura: è proprio vero che ormai non possiamo fare a meno di tutto questo? che non appena viviamo anche una piccola emozione dobbiamo raccontarla con uno status su FB o un post sul blog? che le aziende hanno bisogno di noi utenti e blogger per farsi pubblicità e aumentare la loro reputazione? Che "se non ci sei" in nessun social sei uno sfigato?
Perché "l'amore ai tempi del ragazzo della porta accanto?" Se vi va ancora di leggere e volete scoprire il perché, ecco qui il contributo di mia madre:
"Sono una “vecchia ragazza” degli anni ’70 che ora a 58 anni fatica a integrarsi con l’accelerazione impressa dalla tecnologia a tutti i mezzi di comunicazione.
Certo anche io ho tratto vantaggio da FB, dagli smartphone e da wathsapp, soprattutto per comunicare con i miei figli (3, e non è un gestore telefonico) ormai definitivamente lontani.
Questi mezzi mi consentono di osservarli e seguirli a distanza, a loro insaputa, senza essere una presenza invadente (che mania pubblicare tutto su fb, si sa tutto di tutti!).
A differenza delle ultimissime generazioni, per le quali internet è sempre esistito, noi “vecchie ragazze” facciamo gli inevitabili confronti con il nostro passato più recente e ci chiediamo come siamo sopravvissuti senza uno smartphone incollato all’orecchio e allo sguardo.
Io insegno in un Liceo a ragazzi dai 13 ai 18 anni, e sono quasi quotidiane le discussioni relative all’uso più appropriato delle nuove tecnologie, ma non c’è niente da fare: esse incombono, invadono, fagocitano ogni aspetto dell’esistenza. I miei alunni mi ascoltano e mi guardano come se fossi un’aliena proveniente da un altro pianeta dove esistono ancora “i ragazzi della porta accanto”.
Immaginate con quale atteggiamento possano ascoltare e comprendere, questi giovani, la spiritualità dell’amore cantato da Dante per Beatrice, o il tormento di Petrarca per Laura, o l’infinito desiderio d’amore di Leopardi. Ridono, ed è difficile ricondurre quelle emozioni a fatti concreti della loro esperienza quotidiana.
Eppure, che differenza c’è tra la “lontananza” di un poeta provenzale che sospirava per uno sguardo della donna desiderata e irraggiungibile, e l’amore vissuto davanti a uno schermo, grande o piccolo che sia, in cui non c’è alcun contatto fisico, e in cui ci si illude che le frasi spezzate infarcite di acronimi, corrispondano alla realtà dei sentimenti che desideriamo suscitare o trasmettere?
La globalizzazione ci ha posto di fronte a una realtà occupazionale in cui le distanze si sono annullate e dunque, se si è costretti a vivere agli antipodi per questo motivo, nel caso di mogli madri figli, ben venga la possibilità di comunicare in tempo reale.
E prima? Gli innamorati come facevano a mantenere vivo il loro sentimento, a restare fedeli, a non dimenticare il volto della persona amata?
Temo fortemente che l’ansia di “vedersi” di “restare in contatto” nasconda una estrema fragilità e insicurezza (sarà forse per questo che le unioni oggi durano così poco?), l’incapacità di temprare i propri sentimenti e di nutrire fiducia in se stessi.
Purtroppo è questo il prezzo che si paga alla tecnologia.
Anche i miei figli non mi capiscono e mi offrono i vantaggi della possibilità di ampliare le loro conoscenze e di scegliersi il compagno/a della loro esistenza tramite le varie chat.
Io continuo ad avere i miei dubbi, poiché, se anche essi mi rassicurano che ormai è difficile nascondere la propria identità e il proprio aspetto, so con certezza che la scrittura è un filtro potente dei propri sentimenti che ne escono sempre modificati, edulcorati o falsati, sicuramente privi di quella immediatezza istintiva dello sguardo e dei gesti.
L’amore “ai tempi del ragazzo della porta accanto” era circoscritto ai pochi metri quadrati di un pianerottolo e non c’era bisogno di Wathsapp per dire “ci sei?”, bastava battere sulla parete divisoria dei propri appartamenti e affacciarsi al balcone.
Ma che dire ora che l’amore si è ridotto ai centimetri di un banco scolastico?
Anche su questo fenomeno, per me dilagante, ci sarebbe tanto da dire. Perché gli adolescenti non guardano fuori dalla loro aula e si “fidanzano”(che parola obsoleta!) tra compagni di classe? Noi, femminucce di allora, guardavamo come esseri irraggiungibili “quelli del quinto” che a loro volta, magari, desideravano esperienze con ragazze più grandi.
In effetti il compagno di banco siede “accanto” a noi, ma nella realtà di oggi l’amore dovrà lottare ancora molto per far sì che ciascuno possa veramente dire di aver trovato chi vive “con” noi e non solo fisicamente".
Bene, si è forse capito che l'amore tra i miei è nato tra le mura dello stesso palazzo in cui abitavano??? :-)
Ringrazio mia madre per aver svolto questo tema "caldo" (e non solo perché al momento qui ci sono 40 gradi!!) e per aver lanciato ulteriori provocazioni a cui, spero, risponderete con i vostri contributi.
Vivy
7 commenti
Lascia un commentoCredo che, anche oggi, le coppie veramente unite non abbiano bisogno di scriversi in continuazione. Certo, scriversi messaggi e potersi chiamare al telefono è comodo, ma non deve diventare soffocante.
ReplyRiguardo al "ragazzo della porta accanto", purtroppo i miei unici vicini di casa sono i cugini e dall'altra parte della strada ci sono solo campi, quindi sono costretta ad andare a cercare un po' più in là... Un incontro con la persona giusta può avvenire in mille modi, anche su internet, ma l'importante è incontrarsi e conoscersi di persona. Secondo me, i modi possono essere davvero infiniti: a scuola, alla fermata dell'autobus, al corso di cucina o su internet, l'importante è incontrarsi.
Personalmente trovo il punto di vista di tua madre molto prossimo al mio.
ReplyLa questione è che l'amore ha mille volti, mille modi per esprimersi e manifestarsi: tanti quanti sono gli esseri umani sulla faccia della terra. Il mio amore non è uguale a quello di mio marito, sicuramente simile e compatibile, ma non uguale.
Quale sia il modo giusto di amare e di relazionarsi? Non ne ho la più pallida idea.
Pertanto cercherò di insegnare a mia figlia come guardarsi da quello sbagliato, quello che non ti rispetta e che calpesta il tuo orgoglio. Se poi lei deciderà di trovare il suo grande amore in chat, poco male. Purché la renda felice.
Non ho whatsApp, non uso praticamente mai facebook e ancor più raramente pubblico foto, però ho un blog e uso Skype quando l'Alpmarito e' all'estero per lavoro. In rete, tramite il blog, ho scoperto amiche vere, alcune anche incontrate fisicamente. certo, però, leggere quasi quotidianamente un "diario virtuale" permette di conoscere l'altro molto più che vedere qualche foto random su Facebook o due o tre parole buttate li' su altri social.
Replyper me questi mezzi devono continuare ad essere solo un veicolo di informazione e comunicazione AUSILIARIO alla vita reale, che prevale sempre.
D'altro canto, se non vivi, cosa puoi avere da raccontare?!?
Il pericolo di isolarsi dietro una tastiera e' reale ma sta a noi far capire ai nostri figli che le emozioni, le avventure ed i sentimenti sono anche e soprattutto "fuori", perché un'alba vista dal vivo, non trasmette le stesse sensazioni di una foto e così sarà sempre!
E poi, temo che dietro tutta questa ansia di "postare" e "commentare" ci sia molto narcisismo ed insicurezza...tanto che spesso sono costretta a chiedermi: ma io, perché uso il blog? E, spesso a bacchettarmi!!!
Si, anche io tramite i social e il blog sono entrata in contatto con nuove amicizie e persone davvero speciali, quasi da non poterne più fare a meno. E' davvero un dilemma, da una parte tanta attrazione dall'altra quasi il rigetto perché ci ci sente quasi in difetto.
ReplyPerò il mondo sta andando davvero verso questa direzione, con una velocità impressionante e noi con lui.
Il mio proposito e' quello di mantenere una giusta misura...
Vivy
Cara anche io come professoressa vedo nascere, crescere e terminare amori sui banchi della stessa classe. Ma non c'è più quel batticuore che avevamo noi quando apettavamo quelli del quinto che passavano e magari ci sembrava che ci buttassero là un'occhiatina. adesso è tutto scontato, le ragazze fanno il primo passo e i maschi non dicono di no, altrimenti ci perdono di virilità. Ma poi vogliono la ragazza timida, ingenua e così via. Io dico sempre alle mie alunne di non buttarsi via, perchè l'amore quello bello, fresco, della loro età, poi non tornerà più. E per quanto riguarda i social, whatsapp e tutto il resto, sono utilissimi se usati con criterio. E' che i nostri giovanissimi non hanno ancora la capacità di distinguere cosa è bene postare e cosa non lo è... Io trovo tanta fragilità in loro, scaturisce da ciò che scrivono , tanta apparenza e poca sostanza.
ReplyMa c'è da scrivere un libro su ciò che penso
Spero di non averti annoiata
Un bacione
Sara
Mamma e professoressa credo che demonizzare aspetti di una società che muta incessantemente sia sbagliato... Conta non eccedere!
ReplyCaro anonimo, grazie per aver commentato questo post scritto due estati fa e che, con la scusa, ho riletto con piacere.
ReplyNon mi sembra che abbiamo demonizzato o condannato usanze e teconoglie di cui ci serviamo tra l'altro ogni giorno. Semplicemente abbiamo fatto alcune riflessioni che, a distanza di due anni, mi trovo ancora a condividere perché si...tutto bello no??? Però oggi abbiamo anche i Pokemon che stanno facendo rincretinire i ragazzi (e non solo!) a scapito anche della propria vita (incidenti in macchina ecc...).
A noi genitori (e professori) l'arduo compito di far capire la giusta misura che purtroppo spesso non viene seguita.
Viviana